martedì 16 ottobre 2012

Davvero la "A" viene prima?




Discutere oggettivamente di Unione Europea con i tempi che corrono non è certo cosa facile. Eppure dire la propria su questa immensa istituzione è diventato parte del quotidiano parlare. Tutti i soggetti, politici e non, si danno all'arte del proselitismo, sfornando continuamente nuove proposte e nuove soluzioni politiche. Nonostante questo sembra essere diventato la norma, tutto ciò continua a fare una certa impressione.

I politici, inoltre, sanno benissimo come far fruttare questo nuovo sentimento, da abili magnati dell’anti politica. La quale scopre una nuova veste che riesce ad andare oltre la Padania di turno. Anti politica che riesce a spingersi al di là del confine nazionale, facendo sua questa nuova brezza antieuropea. Nuova valvola di sfogo, la quale a ben pensarci viene rivangata da un passato già carico di critiche bipartisan.

Dunque l’Europa unita si trasforma. Passa dall'essere un bene comune, una ricerca di unione di diversi popoli sotto un'unica bandiera, a fronte di sfogo e attuale facile bersaglio. Va, però, specificato che quest’intolleranza, non è certo nata dal nulla. E’ già molto esplicativo il fatto che le merci abbiano cominciato a viaggiare liberamente all'interno dell’unione molto prima degli esseri umani e dei loro sentimenti, ideali e convinzioni politiche.

I partiti, dal canto loro, si organizzano e mutano a seconda del gusto più in voga, i loro manager ed i curatori d’immagine, i quali sono feroci seguaci della media logic, strizzano l’occhio a questo nuovo modo di fare rivoluzione. Abilmente sfruttano il malcontento popolare, facendo a gara per elogiare le credenziali o affossare la credibilità dell’UE. Criticare o lodare l’unione, in tutte le sue componenti, sembra essere diventato parte naturale di ogni programma politico ed ormai tutti i partiti possono essere catalogati tra europeisti convinti od euro scettici.Questi ultimi modificano gli assetti economici e finanziari di tutta l’unione sulla base di una vittoria elettorale o di un comizio, basti pensare alle ultime elezioni politiche olandesi o ai comunicati stampa del primo ministro tedesco.

Ciò che, però, più inquieta è che la lotta politica sembra essere passata da un livello nazionale (tra partiti) ad uno più europeo (tra stati). Questo vero e proprio scontro per anni sottaciuto è riesploso come una bomba, la cui miccia è la crisi economica. Questo shock finanziario in realtà non ha una vera e propria denominazione. Infatti, può essere definito in vari modi: crisi dei debiti sovrani, crisi dell’eurozona, crisi di fiducia nei mercati europei etc...L’incapacità di accordarsi su un unico titolo rende bene l’idea. La crisi e le sue conseguenze non vanno trattate in blocco.
E’ vero, tutto il continente europeo è in subbuglio e sembra impossibile trovare una fine duratura a questo caos. Ma le crisi non vengono dal nulla, non si materializzano senza cause precise. Cause che sono intrinseche e tipiche della cultura (politica oltre che economica creata e accresciuta in decenni di storia) di ogni singolo stato membro. Inoltre non si può  certo dimenticare che l’ambiente economico internazionale è globalizzato, per cui l’enorme massa degli investimenti può viaggiare liberamente da uno stato ad un altro, senza apparenti controlli. Dunque, così come la globalizzazione da, può facilmente togliere. Selezionando gli stati in base all'efficienza dei loro sistemi economici. Parametro quest’ultimo il quale è condizionato dalla credibilità che gli investitori mondiali attribuiscono, tramite le loro azioni, all'economia dello stato stesso.
Da buon studente di scienze politiche, non posso certo, arrivato a questo punto, non ricordare cosa successe in argentina nel 2001. Più in generale non posso dimenticare cosa fu il Washington Consensus e le sue terribili conseguenze. Il quale portò l’Argentina ha fare scelte simili a quelle che oggi stanno compiendo i leader europei. Rigore, efficienza e liberismo sembrano essere gli unici antidoti ad un avvelenamento che tutti vogliono evitare, nel proprio “piatto”.
Inoltre, pur senza soffermarcisi troppo, non può certo passare inosservato il fenomeno di catalogazione nel quale stanno transitano tutti gli stati maggiormente colpiti dalla crisi. Gli stati vengono letteralmente etichettati in quelli di serie A e quelli di serie B. Ci sono, poi, gli stati innocenti e quelli colpevoli, quelli che andrebbero premiati e quelli che meritano, invece, una sonora strigliata. Dimenticandosi totalmente che seppur uniti, gli apparati economici dei paesi dell’eurozona sono profondamene diversi.
Si arriva addirittura a parlare a livello ufficiale di stati spendaccioni e stati più rigorosi, che andrebbero persino premiati. Come se giudicare l’efficienza di due sistemi economici diversi con gli standard di uno solo dei due fosse sensato. Lungi da me l’idea di difendere le bugie dello stato greco o l’inaffidabilità di quello italiano, ma sono comunque convinto che per essere davvero uniti bisogna innanzitutto riconoscere le diversità di ciascuno. L’omologazione non porta da nessuna parte e anzi azzera anche il più minimo senso di inventiva.

Insomma, purtroppo, o per fortuna a seconda di come la si voglia vedere, siamo arrivati ad un bivio. Ora noi e l’Europa dobbiamo scegliere se diventare schiavi dei conti pubblici, essere in perfetta parità di bilancio e così dipendenti totalmente dal mercato e dai grandi mostri della finanza. Oppure intraprendere una strada più sociale, dove lo stato non sparisce dalla vita dei cittadini nascondendosi dietro la scusa del rigore, ma anzi incoraggia questi stessi e procede al loro fianco, nonostante le numerose difficoltà.

Ad oggi pare proprio che siano pochi i collanti rimasti tra i diversi stati dell’Unione. Ormai sembra più che evidente che ciò che ci unisce non è più un ideale comune, un sogno da realizzare o la speranza in un futuro migliore. Ciò che aggrega i popoli europei oggi è la paura ed il terrore. L’angoscia di perdere la propria ricchezza, il proprio primato, i propri vizi e la comodità di una vita basata sul potere economico. Questa scatena, inoltre, gli animi più agguerriti. Le azioni comunitarie cessano d’esistere e i leader dei singoli governi scendono personalmente in campo. Un po’ come a creare dei sottogruppi che tentano di conquistarsi i posti migliori delle scialuppe di salvataggio.
In tutto questo una notizia che addolora e che mina alle fondamenta di quel piccolo giovane popolo europeo che stava andando formandosi, viene battuta dalle agenzie di stampa e finisce addirittura sui telegiornali. Salvo poi essere smentita, in quanto per l’ennesima volta l’unione è intervenuta al posto degli stati. I fondi stanziati e previsti per il progetto di scambio europeo Erasmus sono finiti.  Questo non vuol dire che il progetto svanirà ma che d’ora in poi sarà sempre più complesso offrire a tutti i vincitori di borsa di studio un adeguato compenso.

Sebbene la perdita economica sia notevole c’è molto su cui riflettere dal punto di vista sociale e culturale. Infatti l’Erasmus rappresenta, a mio avviso, uno dei metodi più diretti e meglio riusciti per mettere davvero in relazione e collaborazione i giovani europei e così facendo l’Europa di domani. Con l’azzeramento o la diminuzione dei fondi sarà sempre più complesso poter passare un semestre, o due, di studio in un altro paese all'interno dell’unione. Sarà sempre più arduo entrare in contatto con la trasmigrazione reale di concetti che sembrano così immateriali come comunità europea o giovani europei. Diventerà sempre più difficile riprendere da dove si era lasciato, rimettersi sulla giusta strada verso la creazione di una vera Europa unita culturalmente prima che economicamente.
Ai giovani oggi vengono presentate sempre più sfide al posto di speranze e sogni. I prossimi giovani europei saranno davvero in grado di risolvere tutte queste nuove e complesse questioni?  
Qualcuno dice che  senza speranza non c’è futuro. Io direi che senza giovani speranzosi non esistono futuri possibili.
Inoltre come possiamo anche solo immaginare un Europa migliore se nei momenti di crisi si scatenano vere e proprie faide di tutti contro tutti e se nel momento del bisogno al posto di aiutarsi si istituisce una vera e propria caccia alle streghe dove quelli della serie “A” incolpano la “B” di non aver fatto abbastanza?
Ma poi chi lo dice che la A viene prima della B?

Nader Moukarzel

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