giovedì 22 novembre 2012

Primavera Araba, e se fosse Inverno?



Questa settimana abbiamo  deciso di usare una forma diversa di produzione. Siamo riusciti ad intervistare un ragazzo libanese. Si chiama Tony Sarkis ha 19 anni, nato e cresciuto in Libano ha deciso d’iscriversi nel 2011 all’INSA di Lione, dove ora frequenta il secondo anno.  
A Tony sono state poste domande decisamente non semplici. E’, però, riuscito a stupirci con la sua esperienza di vita particolare e profonda.


Oltre L’internazionale:Dunque Tony,  Iniziamo con il nostro primo quesito. Cosa ne pensi del conflitto che sta scuotendo la Siria da quasi due anni?
Tony Sarkis: Innanzitutto, credo che sia necessario sottolineare la complessità del conflitto Siriano. Questo non è semplicemente dovuto ad una richiesta di diritti umani e libertà individuali, i quali hanno certamente messo in moto tutti gli attuali avvenimenti, ma questi non sono completamente responsabili del sanguinario conflitto al quale assistiamo oggi. Quest’ultimo è sopratutto caratterizzato da una componente predominante non presente negli altri paesi che hanno vissuto la primavera araba, come la Tunisia, l’Egitto o la Libia, questo fattore è la religione. Dunque sono convinto che per comprendere chiaramente il conflitto siriano è necessario fare un passo indietro ed analizzare tutte le componenti  delle attuali parti in conflitto. Innanzitutto va detto che  in Siria sono presenti diversi credi: I Sunniti che rappresentano il 74% della popolazione, gli Alawiti ,ora al potere, i quali insieme ai Drusi rappresentano il 13% ed infine vi sono i Cristiani che rappresentano il 10%. Va inoltre messa in luce una consistente presenza di curdi, circa il 9% della popolazione. Le fazioni partecipanti al conflitto si sono formate sulla base dei diversi obbiettivi ed interessi che queste diverse religioni  hanno. Così facendo troviamo da un lato i Sunniti e dall’altro i Cristiani, gli Alawiti, I Curdi ed i Drusi. Perché questa strana composizione? Tutto ciò è dovuto al fatto che le religioni minoritarie non vedono di buon occhio un regime Sunnita dominante. Il quale lo è già dal punto di vista strettamente sociale-numerico, ma vederlo ufficializzato terrorizza non pochi. Questo potrebbe portare a derive Salifiste, a divieti di libertà religiose e addirittura l’applicazione su scala nazionale della sharia. Infatti non è certo un segreto il coinvolgimento di gruppi armati appartenenti ad organizzazioni terroristiche come Al qaeda o i fratelli mussulmani nel conflitto.    

OL: Quindi pensi che questa rivoluzione “sunnita” possa portare ad una dittatura religiosa in Siria?
T:
Questo è un argomento molto sensibile e di non facile risposta. Non lo si può certo dire a priori. Si può tentare osservando ed analizzando vari fattori, ma in generale va ricordato che la religione è la componente primaria in tutto il medio oriente. La primavera araba ha scombussolato molti equilibri e ci pone ora di fronte ad un gran dilemma. Ora è obbligatorio scegliere tra democrazia politica e democrazia religiosa. Prima della rivoluzione in Siria non vi era alcuna forma di diritto politico o di libertà di stampa ,  ma era forte il sentimento di libertà religiosa e tolleranza. Io stesso come cristiano libanese sono stato in Siria in pellegrinaggio religioso e posso confermarlo. Infatti, anche se può sembrare assurdo, la Siria è uno dei paesi più tolleranti dal punto di vista religioso. Nonostante la dittatura e nonostante l’obbligo per legge dell’elezione di un presidente di religione Maomettiana.

OL: Forse è meglio dire che era un paese molto tollerante dati gli ultimi avvenimenti, non credi?
T: Penso che l’utilizzo del passato sia un po’ frettoloso, però è importante anche sottolineare che ora ci sono forte restrizioni sulla libertà religiosa. Tutto ciò è molto grave se si pensa che in queste zone sono presenti chiese e monasteri fra i più antichi al mondo. Inoltre da un punto di vista personale, cioè arabo-cristiano, posso dire che esattamente come i cristiani siriani, anche io temo un ondata di estremismo religioso di natura islamica e soprattutto sunnita. D’altronde non sarebbe una novità, attività di questo tipo si sono già riscontrate in Tunisia, Libia ed Egitto. In quest’ultimo caso addirittura eleggendole. Quindi il  vivere in un sistema che non permette differenziazione quando invece prima dello scoppio della guerra civile era discretamente possibile, mette in allarme molti. E rischia di avere ripercussioni in tutto il mondo arabo, anche in quei luoghi dove faticosamente e difficilmente si era riuscito a costruire qualcosa in comune, nonostante le differenze religiose.      

OL: Dunque la guerra civile siriana, sembra proprio non restringersi solo alla sua “terra d’origine”, ma minacciare anche l’equilibrio precario di molti paesi. Uno di questi è il Libano. In che modo secondo te il tuo paese è influenzato dal conflitto siriano?  
T:
Innanzitutto va specificato che i risvolti della guerra in Siria influiscono maggiormente nei paesi strettamente confinanti e con i quali questa ha contatti diretti. Il Libano è uno di questi, ma ci sono anche la Giordania, l’Iraq, la Turchia ed Israele, ma preferisco definirla Palestina occupata.        
Ora che il giocattolo siriano si è irrimediabilmente rotto, le grandi potenze occidentali temono che succeda la stessa cosa negli altri paesi confinanti. Il governo turco, per esempio, ora accusa il governo siriano di aiutare e fornire armi ai curdi (i quali come già detto sono nel fronte pro Assad) e più specificatamente il partito del PKK. Questo porterebbe ad un attacco da parte del partito dei lavoratori del Kurdistan rivolto alla Turchia e metterebbe a rischio il sottile velo di pace che ancora regna in quella regione.
Qualcosa di simile sta accadendo ora in Libano, ma con una piccola differenza. Il mio paese può essere diviso in due grandi blocchi. Il primo definibile come “pro - Siria” formato dai partiti che compongo a loro volta la coalizione “del 8 marzo”. Composta dagli Hezbollah, El Tayar el watani el hor partito che raggruppa la maggior parte dei cristiani ed altri partiti di minore importanza. La seconda coalizione detta  “del 14 marzo” ha una visione molto più occidentale ed è composta dalle Forze Libanesi, il Kateyb, rispettivamente secondo e terzo partito cristiano, assieme ad il partito del figlio del (definito da molti) martire Rafiq Hariri, ovvero il Mustakbal (Il futuro).  Questi due schieramenti oltre all’essere caratterizzati da visioni diverse raggruppano tra le loro fila la due correnti maggioritarie dell’Islam. Infatti gli hezbollah (nella fazione pro Siria) appartengono alla corrente Sciita, mentre il partito del Mustakbal appartiene alla corrente sunnita. I primi  sono storicamente legati alla Siria ed attraverso essa all’Iran a causa della “lotta comune” contro Israele. I secondi invece sono a favore della rivoluzione in Siria, non solo perché principalmente guidata da sunniti, ma soprattutto per voglia di vendetta. Infatti secondo questo partito ad assassinare nel 2005 Rafiq Hariri ed altri deputati, furono gli stessi Siriani, o meglio lo stesso governo ora combattuto dalle forze rivoluzionarie. A causa di questo schierarsi deciso da parte di ambo le parti, talvolta anche piccoli pretesti creano dei piccoli scontri, la cui portata rimane sempre dubbia.

OL: Cosa di preciso può scatenare degli scontri? Potresti farci un esempio?     
T:
Certo. Un semplice esempio potrebbe essere l’attentato al capo dei servizi segreti libanesi Wissam al-Hassam, lo scorso 19 ottobre.  Il giorno stesso in cui è stato seppellito, in tutto il paese sono scoppiati tumulti, i quali degenerando hanno portato ad una piccola guerra civile. Infatti il partito del Mustakbal assieme ad altri partiti minoritari hanno direttamente accusato gli hezbollah di aver fornito al governo di Bashar el Assad le informazioni necessarie per compiere questo atto terroristico. In quanto il capo dell’intelligence libanese nell’agosto scorso aveva scoperto e smantellato un’organizzazione, formata da poche persone presumibilmente mandate dal governo di Damasco, le quali intendevano compiere attentati terroristici nel nord del Libano. Così avrebbero  “seminato zizzania” a sufficienza per far esplodere tutte le tensioni ora sopite. E così facendo coinvolgere anche la terra dei cedri nel conflitto siriano.            

OL:Direi che siamo giunti alla fine di questa bella e ricca intervista, nel ringraziarti ti poniamo un ultima domanda personale. Nel riassumere tutti gli argomenti affrontati riusciresti a darci una tua visione, veloce, sulla primavera araba e le sue conseguenze?
T: Come ho già detto prima, questo è un argomento molto sensibile e complesso, per cui non mi è facile rispondervi. Anche se come provocazione, più che di primavera, io parlerei d’inverno arabo. Inoltre credo che in Europa ci sia un senso generale fin troppo ottimista nei riguardi dei fatti accaduti in quest’ultimi anni. Non credo che questo sentimento sia un bene, perché penso che renda molto miopi ed insensibili nei confronti dei fatti reali. I quali hanno conseguenze concrete e talvolta rischiose, se mischiati con la complessità delle diverse facce del mondo arabo.  

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