venerdì 28 settembre 2012

L'infelicità Araba



Gli orribili fatti accaduti qualche giorno fa presso l’ambasciata americana a Bengasi in Libia hanno semplicemente shoccato tutto il mondo. Ci hanno ricordato che non è vero che siamo in pace. Almeno una guerra la stiamo combattendo.

Le piazze si sono riempite con una velocità da lasciare senza parole, sono spuntati striscioni d’ogni sorta, che inneggiavano alla morte, alla guerra santa, alla sharia, all’odio. La protesta e la rabbia di un intero popolo sono letteralmente esplosi come una bomba. Questo ordigno, però, non è una arma comune. Questa è la peggiore delle distruzioni, costruita scrupolosamente nella disperazione, nella povertà, nell’ ignoranza e nella ribellione come unica risorsa rimasta. Al posto del tritolo e delle polveri esplosive sono state maneggiate con cura la voglia d’identità e l’autodeterminazione le quali non hanno trovato altra valvola di sfogo se non l’affermazione ortodossa della propria differenza. E’ un arma che possiede una miccia lunga decenni e mantenuta viva da generazioni. Una miccia che è stata voluta e poi accesa da chi oggi tenta disperatamente di spegnerla, combattendola ed etichettandola come fanatismo religioso.

A ben pensarci, però, tutta questa violenza non è una novità. Seppur queste proteste siano scaturite dalla pubblicazione del lungometraggio anti-islam: “l’innocenza dei mussulmani”, non si può certo dimenticare ciò che accade in passato. Come l’inferno scatenato dalla pubblicazione nel 1988 dei “Versi Satanici” di Salman Rushdie. Libro che costò allo scrittore, anch’egli islamico, una Fatwa, una vera e propria condanna a morte da parte dell’Ayatollah Ruhollah Khomeyni. Ma come possono un semplice libro e un lungometraggio di scarsissimo valore e di dubbia comprensione provocare una simile reazione? La risposta è che non possono.
Dietro alla scia di rabbia si nasconderebbero veri e propri interessi di tipo economico, politico e religioso. L’esempio del primo ministro del Pakistan  Raja Pervez Ashraf calza a pennello. Una volta messa una taglia sulle testa del regista del film, tenta in qualche modo, di frenare la collera della gente, la quale ha già incendiato, in segno di protesta, numerosi cinema di sua proprietà. Lo sfruttamento dell’odio, però, non finisce qui. Tutta questa vera e proprio baraonda offre terreno fertile a gruppi estremisti, come salafiti, jihadisti, wahabiti e via dicendo, i quali, da abili cospiratori tentano il colpo di mano. Non è infatti un segreto il loro coinvolgimento in tutte le aree più sensibili del medio oriente. Azioni militari in favore dei ribelli in Siria, attentati contro le chiese cristiane in Nigeria,  tentativi di attacco in Libia e più in generale in tutte le zone della “Arab Spring”. Come dimenticare, infine, l’incredibile successo ottenuto legalmente e democraticamente dai “fratelli mussulmani” in Egitto?

In un momento in cui l’occidente era  e resta diviso tra chi difende le dittature e tramite esse i propri profitti, chi semplicisticamente bolla l’intera faccenda come non “affari nostri”, e chi gioisce semplicemente perché il popolo è in subbuglio. Inoltre, senza conoscere i retroscena più complessi, le cause, i motivi e le ideologie ne prende spunto nel tentativo di rivoltare il proprio regime. Cominciando ad affermare che un islam moderato è possibile e che la primavera araba porta con se quella modernizzazione che dovrebbe potar via gli elementi più estremisti.  Valorizzando, invece, le caratteristiche più democratiche, più umane e più libere. In una parola più occidentali, in una civiltà che occidentale non sarà mai.

Nel frattempo la macchina del fanatismo comincia a mettersi in moto, ad aprire brecce, diffondere zizzania e a sfruttare le divisioni. Il mercato dell’odio è ormai aperto e gli scambi generano profitti più che floridi. Così facendo quella profonda ferità già presente tra i lembi occidentale e orientale si infetta e comincia a sanguinare copiosamente.

Il conflitto, o forse dovremmo definirlo scontro, tra la civiltà Occidentale secolarizzata e la società orientale, dominata invece dalla religione, è ormai più che in atto ed ha un unico denominatore comune: l’incomprensione. Talvolta voluta e cercata, fomentata dall’odio e dal rifiuto, sentimenti brillantemente sfruttati da chiunque riesca a trovarvi certi interessi. Altre volte semplicemente frutto di casuali incomprensioni spinte dalla difficoltà del normale comprendersi. Fatto sta che la differenza è enorme.

Nelle società mediorientali la religione è la base della vita quotidiana. Mentre in occidente si è preferito accantonarla e sostituirla con nuovi dei, nuovi idoli che per quanto possano essere reali e concreti mantengono comunque un carattere fortemente etereo, in un certo senso pagano, ma decisamente mistico.  Un ottimo esempio viene dal Libano, ultimo paese del mondo arabo dove il numero di cristiani e mussulmani è tutto sommato proporzionale. Un paese nel quale la divisione delle più alte cariche dello stato viene regolata dalla costituzione in base alla religione d’appartenenza e non dalla legge. Il carattere religioso di tali società è talmente alto che per ritrovarne uno simile in Europa dovremmo ritornare indietro di secoli fino al medioevo, fino al tempo delle crociate. La società medio orientale necessità di religione, esattamente come quella occidentale necessità di laicità. E’ l’unica via che permette agli arabi di rimanere davvero uniti.

Tutti i tipi di religione mostrano il loro lato più ortodosso, persino il cristianesimo. Definito da Samir Kassir come l’unico ponte tra occidente e medio oriente, è per questo motivo continuamente calpestato da tutti i viaggiatori. Ridotto puntualmente a minoranza, abbandonato e lasciato privo di forze, in stessa misura dai fondamentalisti come da un occidente che ha deciso di ignorare le proprie origini. Come chi pulendosi le scarpe dal fango,  lucidandole e spruzzandosi addosso un po’ di profumo spera di poter entrare nell’elite che conta, nel mondo di chi comanda. Così facendo l’occidente ha deciso di innalzare la propria cultura a faro dell’umanità. Rimanendo sordo alle richieste concrete di quel popolo che chiede comprensione, mostrandone, invece, solo le fattezze più estreme e rozze.

Gli arabi, però, non sono solo così. Essi sono eredi di una grandissima civiltà, che ha dato i natali al mondo attuale. Essi sono in grado di riappropriarsi del proprio destino in maniera indipendente. A patto di sbarazzarsi del ruolo di vittima definito dall'ordine internazionale vigente. Inoltre, fare finalmente i conti con quella modernità che per molti continua ad essere una minaccia e rimuovere gli estremismi d’ogni sorta che non permettono di mostrare una via alternativa a quella della modernizzazione occidentale. L’infelicità araba, madre dell’odio e della violenza, può essere curata, ma ha bisogno di scelte coraggiose e di sacrifici.

Nader Moukarzel 

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