Discutere oggettivamente di Unione Europea con i
tempi che corrono non è certo cosa facile. Eppure dire la propria su questa
immensa istituzione è diventato parte del quotidiano parlare. Tutti i soggetti,
politici e non, si danno all'arte del proselitismo, sfornando continuamente
nuove proposte e nuove soluzioni politiche. Nonostante questo sembra essere
diventato la norma, tutto ciò continua a fare una certa impressione.
I politici, inoltre, sanno benissimo come far
fruttare questo nuovo sentimento, da abili magnati dell’anti politica. La quale
scopre una nuova veste che riesce ad andare oltre la Padania di turno. Anti politica che riesce a spingersi al di là del confine nazionale, facendo sua questa nuova
brezza antieuropea. Nuova valvola di sfogo, la quale a ben pensarci viene
rivangata da un passato già carico di critiche bipartisan.
Dunque l’Europa unita si trasforma. Passa dall'essere un bene comune, una ricerca di unione di diversi popoli sotto un'unica
bandiera, a fronte di sfogo e attuale facile bersaglio. Va, però, specificato
che quest’intolleranza, non è certo nata dal nulla. E’ già molto esplicativo il
fatto che le merci abbiano cominciato a viaggiare liberamente all'interno dell’unione molto prima degli esseri umani e dei loro sentimenti, ideali e
convinzioni politiche.
I partiti, dal canto loro, si organizzano e mutano
a seconda del gusto più in voga, i loro manager ed i curatori d’immagine, i
quali sono feroci seguaci della media logic, strizzano l’occhio a questo nuovo
modo di fare rivoluzione. Abilmente sfruttano il malcontento popolare, facendo
a gara per elogiare le credenziali o affossare la credibilità dell’UE.
Criticare o lodare l’unione, in tutte le sue componenti, sembra essere
diventato parte naturale di ogni programma politico ed ormai tutti i partiti
possono essere catalogati tra europeisti convinti od euro scettici.Questi
ultimi modificano gli assetti economici e finanziari di tutta l’unione sulla
base di una vittoria elettorale o di un comizio, basti pensare alle ultime
elezioni politiche olandesi o ai comunicati stampa del primo ministro tedesco.
Ciò che, però, più inquieta è che la lotta politica
sembra essere passata da un livello nazionale (tra partiti) ad uno più europeo
(tra stati). Questo vero e proprio scontro per anni sottaciuto è riesploso come
una bomba, la cui miccia è la crisi economica. Questo shock finanziario in
realtà non ha una vera e propria denominazione. Infatti, può essere definito in
vari modi: crisi dei debiti sovrani, crisi dell’eurozona, crisi di fiducia nei
mercati europei etc...L’incapacità di accordarsi
su un unico titolo rende bene l’idea. La crisi e le sue conseguenze non vanno
trattate in blocco.
E’ vero, tutto il continente europeo è in subbuglio
e sembra impossibile trovare una fine duratura a questo caos. Ma le crisi non
vengono dal nulla, non si materializzano senza cause precise. Cause che sono
intrinseche e tipiche della cultura (politica oltre che economica creata e
accresciuta in decenni di storia) di ogni singolo stato membro. Inoltre non si
può certo dimenticare che l’ambiente
economico internazionale è globalizzato, per cui l’enorme massa degli
investimenti può viaggiare liberamente da uno stato ad un altro, senza
apparenti controlli. Dunque, così come la globalizzazione da, può facilmente
togliere. Selezionando gli stati in base all'efficienza dei loro sistemi
economici. Parametro quest’ultimo il quale è condizionato dalla credibilità che
gli investitori mondiali attribuiscono, tramite le loro azioni, all'economia dello stato stesso.
Da buon studente di scienze politiche, non posso
certo, arrivato a questo punto, non ricordare cosa successe in argentina nel
2001. Più in generale non posso dimenticare cosa fu il Washington Consensus e
le sue terribili conseguenze. Il quale portò l’Argentina ha fare scelte simili
a quelle che oggi stanno compiendo i leader europei. Rigore, efficienza e
liberismo sembrano essere gli unici antidoti ad un avvelenamento che tutti
vogliono evitare, nel proprio “piatto”.
Inoltre, pur senza soffermarcisi troppo, non può
certo passare inosservato il fenomeno di catalogazione nel quale stanno transitano
tutti gli stati maggiormente colpiti dalla crisi. Gli stati vengono
letteralmente etichettati in quelli di serie A e quelli di serie B. Ci sono, poi,
gli stati innocenti e quelli colpevoli, quelli che andrebbero premiati e quelli
che meritano, invece, una sonora strigliata. Dimenticandosi totalmente che
seppur uniti, gli apparati economici dei paesi dell’eurozona sono profondamene
diversi.
Si arriva addirittura a parlare a livello ufficiale
di stati spendaccioni e stati più rigorosi, che andrebbero persino premiati. Come
se giudicare l’efficienza di due sistemi economici diversi con gli standard di
uno solo dei due fosse sensato. Lungi da me l’idea di difendere le bugie dello
stato greco o l’inaffidabilità di quello italiano, ma sono comunque convinto
che per essere davvero uniti bisogna innanzitutto riconoscere le diversità di
ciascuno. L’omologazione non porta da nessuna parte e anzi azzera anche il più
minimo senso di inventiva.
Insomma, purtroppo, o per fortuna a seconda di come
la si voglia vedere, siamo arrivati ad un bivio. Ora noi e l’Europa dobbiamo
scegliere se diventare schiavi dei conti pubblici, essere in perfetta parità di
bilancio e così dipendenti totalmente dal mercato e dai grandi mostri della
finanza. Oppure intraprendere una strada più sociale, dove lo stato non
sparisce dalla vita dei cittadini nascondendosi dietro la scusa del rigore, ma
anzi incoraggia questi stessi e procede al loro fianco, nonostante le numerose
difficoltà.
Ad oggi pare proprio che siano pochi i collanti
rimasti tra i diversi stati dell’Unione. Ormai sembra più che evidente che ciò
che ci unisce non è più un ideale comune, un sogno da realizzare o la speranza
in un futuro migliore. Ciò che aggrega i popoli europei oggi è la paura ed il
terrore. L’angoscia di perdere la propria ricchezza, il proprio primato, i
propri vizi e la comodità di una vita basata sul potere economico. Questa
scatena, inoltre, gli animi più agguerriti. Le azioni comunitarie cessano
d’esistere e i leader dei singoli governi scendono personalmente in campo. Un
po’ come a creare dei sottogruppi che tentano di conquistarsi i posti migliori
delle scialuppe di salvataggio.
In tutto questo una notizia che addolora e che mina
alle fondamenta di quel piccolo giovane popolo europeo che stava andando formandosi,
viene battuta dalle agenzie di stampa e finisce addirittura sui telegiornali.
Salvo poi essere smentita, in quanto per l’ennesima volta l’unione è
intervenuta al posto degli stati. I fondi stanziati e previsti per il progetto di
scambio europeo Erasmus sono finiti. Questo non vuol dire che il progetto svanirà
ma che d’ora in poi sarà sempre più complesso offrire a tutti i vincitori di
borsa di studio un adeguato compenso.
Sebbene la perdita economica sia notevole c’è molto
su cui riflettere dal punto di vista sociale e culturale. Infatti l’Erasmus
rappresenta, a mio avviso, uno dei metodi più diretti e meglio riusciti per
mettere davvero in relazione e collaborazione i giovani europei e così facendo
l’Europa di domani. Con l’azzeramento o la diminuzione dei fondi sarà sempre
più complesso poter passare un semestre, o due, di studio in un altro paese all'interno dell’unione. Sarà sempre più arduo entrare in contatto con la
trasmigrazione reale di concetti che sembrano così immateriali come comunità
europea o giovani europei. Diventerà sempre più difficile riprendere da dove si
era lasciato, rimettersi sulla giusta strada verso la creazione di una vera
Europa unita culturalmente prima che economicamente.
Ai giovani oggi vengono presentate sempre più sfide
al posto di speranze e sogni. I prossimi giovani europei saranno davvero in grado
di risolvere tutte queste nuove e complesse questioni?
Qualcuno dice che senza speranza non c’è futuro. Io direi che
senza giovani speranzosi non esistono futuri possibili.
Inoltre come possiamo anche solo immaginare un Europa
migliore se nei momenti di crisi si scatenano vere e proprie faide di tutti
contro tutti e se nel momento del bisogno al posto di aiutarsi si istituisce
una vera e propria caccia alle streghe dove quelli della serie “A” incolpano la
“B” di non aver fatto abbastanza?
Ma poi chi lo dice che la A viene prima della B?
Nader Moukarzel
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